venerdì 19 agosto 2016

E' tornata a sbuffare (racconto di chi quel treno, finora, lo ha solo sognato)

La Sila all'alba di ferragosto è una distesa dominata dal verde degli abeti e dal giallo dell'erba secca, condita ogni tanto da nuvole di nebbia che avvolgono e fagocitano case, siepi, strade.
Alle 6 e 20 a Camigliatello si sentono solo i passi generati dalla corsetta mattutina dei villeggianti e qualche tazzina di caffè proveniente da uno dei pochi bar aperti, tutto accompagnato dal leggero fruscio degli alberi che avvolgono il piccolo centro silano.
L'alba mi sorprende mentre passeggio sopra la passerella metallica che scavalca la stazione: il sole spunta proprio lì, in fondo al binario che va verso San Giovanni in Fiore.
E' l'alba di un nuovo giorno. In tutti i sensi.



In fondo, vicino alla rimessa, tre figure si muovono a passo sicuro: sono Pietro, Sergio e Luigi, ossia tre delle persone capaci di revisionare la FCL 353 totalmente in casa, all'interno del deposito di Cosenza delle Ferrovie della Calabria, in un'epoca in cui queste lavorazioni (e quindi questi saperi e questi mestieri) sono pressochè sempre demandate a ditte esterne. Sono, loro assieme ai loro colleghi, una delle eccellenze meno conosciute e riconosciute di Calabria, ed anche alle 6 del mattino, a ferragosto, sono presenti.
Con Alessandro, l'unico compagno di viaggio del quale non farei mai a meno, specie quando c'è da calpestare l'erba della Sila, ci avviciniamo alla rimessa, le cui ventole poste sui lati sputano già fuori il fumo dell'ancora freddo propulsore Isotta Fraschini, cuore pulsante del luccicante locomotore LM4 606. Con il suono cupo del “coccodrillo della Sila” a riempirci le orecchie, ci salutiamo con gli inseparabili ed immancabili Sergio e Luigi, mentre Pietro è in cabina in attesa di agganciarsi al carro cisterna, posto una decina di metri più avanti, in corrispondenza della piattaforma girevole. Ci saluterà, col suo solito sorrisone, pochi minuti dopo.


Trainata dal locomotore, con quella calma che si usa quando si sveglia una vecchia signora a quest'ora del mattino, la 353 esce dalla rimessa.
Personalmente, in Sila finora l'avevo solo immaginata e sognata, e vederla lì adesso, sotto altissimi abeti e poggiata su quei binari fino a pochi mesi fa arruginiti ed invasi dalla vegetazione e dal degrado, è stata una sensazione strana, particolare. Emozionato per essere riuscito finalmente a vederla splendere al sole della Sila, tranquillo perchè fondamentalmente non c'è nessun altro posto al mondo dove quella locomotiva possa davvero stare.

L'accensione di una locomotiva a vapore non è un procedimento da quattro soldi, non ti basta girare alcuna chiave nè schiacciare nessun pedale, nemmeno spingere per qualche metro e poi mettere la prima. L'accensione di una locomotiva a vapore è un rito, un lavoro sapiente e certosino, un'arte di cui sono rimasti ormai pochi gli interpreti più autentici.
E' il gioco in cui il tridente Pietro-Sergio-Luigi si muove alla grande: boccola per boccola si verifica che sia tutto nella norma, mentre viene rabboccato l'olio sguardi fuggenti cercano di scorgere anche il minimo difetto, la minima cosa fuori posto, la più insignificante delle anomalie. Ogni tanto Pietro monta in cabina e spala carbone, il fumo si fa più denso ed il freddo comincia a mollare la presa. 


Gli "sguardi fuggenti" nelle viscere della 353
Parte il motocarrello per ispezionare la linea fino a Moccone, nel frattempo viene spostata la locomotiva su un binario adiacente e il locomotore, assieme al carro cisterna, si portano in testa lato Moccone alle tre lucenti carrozze parcheggiate sul terzo binario della stazione di Camigliatello.
Nel frattempo arrivano anche il capostazione, il “supermacchinista” Giuseppe e, poco dopo, Pino, le cui mani, che prima ci stringono in un abbraccio per un saluto, saranno quelle incaricate di tenere a bada gli 800 cavalli della 353.
Jam e' ppiamu u cafè?”
Jam e' piamulu. Mandiamo giù la più irrinunciabile delle bevande, e mentre la stazione si inizia a popolare, tra turisti curiosi e dirigenti delle FC, la locomotiva è ormai quasi in pressione, pronta ad unirsi al convoglio già pronto sul terzo binario.
E poi ancora olio, vapore, il fuoco che scoppietta e l'acqua che freme dentro i cassoni, mentre ci gustiamo ancora una volta i video finiti sul web con l'ennesimo primo viaggio della 353 in Sila. Spala carbone, ne spala ancora, ormai c'è solo da attendere che la caldaia raggiunga la pressione giusta per poter muoversi.





Sono passate da poco le 8 quando il motocarrello rientra dall'ispezione linea a San Nicola, andandosi a posizionare nello scalo merci liberando la strada alla 353. La pressione è buona, parte il compressore d'aria (anch'esso a vapore, il cui movimento crea uno dei suoni caratteristici di queste macchine) e, quando sono ormai le 9, la 353 si muove autonomamente verso il resto del convoglio. 
In attesa del via libera, ci rechiamo a Moccone, il nuovo capolinea del servizio turistico silano. La stazione, posta a poca distanza dallo svincolo della S.S.107, è gremita di gente, ed è persino difficile trovare posto dove lasciare la macchina. Parcheggiamo nell'esatto istante in cui il convoglio sbuca dalla curva antecendente la fermata, tempo di vederlo fermarsi e gli andiamo incontro, mentre una possente colonna di fumo nero si sprigiona dal fumaiolo della 353.


Ci troviamo anche con gli inseparabili Vincenzo e Marcello, venuti a darci manforte nelle riprese fotografiche per la giornata. Al di là del tronchino posto a protezione del passaggio a livello, si sviluppa la linea verso Cosenza, con il viadotto Piccirillo infestato dagli arbusti...e guardarlo con l'odore dei fumi di scarico del 606 nelle narici, segno di una ferrovia tornata a vivere, è un contrasto difficile da digerire.
Accompagnamo il treno lungo la linea, cercando punti buoni dove poterlo fotografare immerso nel paesaggio della Sila. E vederlo transitare lì in mezzo alle foreste, ai campi di patate, sul ponte di Righio come sulla curva in discesa verso San Nicola Silvana Mansio è bello, davvero bello, non ci sono altre parole per descriverlo. E' bello perchè la testa ti va al 2009, quando con Alessandro andavamo a Camigliatello e vedevamo il 606 fermo con le quattro carrozze dietro di sè, e lo striscione "Torneremo a sbuffare" appeso lì sulla passerella. E la testa ti va ancora alla prima volta a Santo Janni, alle vertigini di fronte al viadotto di San Pietro in Guarano, alle orme dei lupi sulla neve calpestata per arrivare alla fermata di Fondente, a tutte quelle idee, quei progetti, a quei binari arrugginiti che spasmodicamente volevi veder tornare a splendere, costi quel che costi. In fin dei conti, perchè? Non te n'è entrato nulla in tasca e probabilmente mai ti entrerà. Perchè?
Perchè è bello, perchè il fischio della 353 in quei boschi ti fa vibrare il cuore fin dentro alle sue più nascoste cavità, perchè l'amore che quei ferrovieri ci mettono è troppo forte ed evidente per essere ignorato, perchè le facce stupide dei turisti non hanno prezzo, perchè in Calabria non può andare sempre tutto male.




Alla stazione più alta d'Italia, a San Nicola, la manovra di inversione a mano. Tra l'odore delle salsicce arrostite da Devis e famiglia, la 353 viene girata su quella stessa piattaforma che, in questi anni, avevamo girato per scherzo dopo i lauti pranzi al ristorante costruito sulle quattro rimorchiate Ranieri nell'ex scalo merci della stazione. Ancora tutti con smartphone alla mano, i "wow" esclamati dai viaggiatori si sprecano. Poi avanti, fino alla colonna idrica per fare rifornimento di acqua, mentre Giuseppe col 606 ed il carro cisterna entrano in stazione e i viaggiatori, meritevoli anche loro di un momento di pausa dopo le emozioni del breve ma intenso viaggio a vapore, si rifocillano a dovere.






Pietro, e neanche tanto a torto, mi dice scherzosamente di essere forse il ferroviere più fotografato d'Italia. Ci vuole poco a capirne il motivo, dato che nessuno rinuncia ad una foto sulla 353 con il berrettino FCL in testa. Attorno alla locomotiva passeggia il vecchio capostazione Caligiuri, storico residente della stazione, il quale non si risparmia nel raccontare agli avventori storie ed aneddoti legati alla ferrovia ed a quelle macchine, mentre alle sue spalle il piccolo museo allestito all'interno dell'ufficio del capostazione fa bella mostra di sè.
Passa oltre mezz'ora prima che tutti si preparino a ritornare in carrozza, visto che i rispettivi pranzi di famiglia aspettano, salutiamo anche noi. Torniamo verso Camigliatello sostando però un attimo a Righio, cercando un ultima foto sul caratteristico viadotto. E' l'ultimo boccone di un piatto che attendevamo (mai comodamente seduti) da troppo tempo.



Ho esaurito le parole, non ne trovo più di adatte alla situazione. Non mi aspetto che molti di voi capiscano tanta enfasi in questo racconto, della sua singolarità me ne rendo perfettamente conto. Ma se è vero che Rino Gaetano cantava "Se mai qualcuno capirà, sarà senz'altro un altro come me", allora non mi preoccupo assai. Dal canto mio, vi consiglio di farci un giro, lassù in Sila.
Poi mi direte...

Vittorio Lascala

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